IL TRIBUNALE DI ROMA 
                      (Seconda Sezione Lavoro) 
 
    in persona del giudice, dott. Antonio Maria Luna  a  scioglimento
della riserva assunta all'udienza del 22 ottobre 2015, ha pronunciato
la seguente ordinanza nella causa civile iscritta  al  n.  36152  del
Ruolo generale affari contenziosi dell'anno 2014, vertente tra: 
        1) Aiello  Ignazio,  2)  Amico  Maria,  3)  Amico  Maria,  4)
Andreetti Silvia, 5) Angeloni  Donatella,  6)  Antonelli  Silvia,  7)
Appolloni Claudia, 8) Aprile Domenico, 9)  Arcangeletti  Enrico,  10)
Argiro' Catia, 11)  Baglioni  Daniela,  12)  Barbanti  Emanuele,  13)
Barbieri  Valerio,  14)  Barocchi  Silvia,  15)  Battista  Aldo,  16)
Battista Silvia, 17) Bellardini Daniele,  18)  Bernabei  Enrico,  19)
Biasin Claudia, 20) Bigazzi  Simonetta  Giovanna  Elita,  21)  Bodini
Luca, 22) Bonci  Francesca,  23)  Borcime  Federica,  24)  Bottecchia
Deborah, 25) Bova Caterina, 26) Brunello Sonia, 27) Bruni Bruna,  28)
Bruni Mariateresa,  29)  Brutti  Simona,  30)  Burburan  Ilaria,  31)
Calzetta Claudio, 32) Campagna Sandra,  33)  Cannizzo  Marcello,  34)
Canzanella Carmine, 35) Carcani  Giulio,  36)  Casadei  Roberta,  37)
Casinelli Anna Rita, 38) Castronuovo Maria, 39) Cerrone Stefania, 40)
Cesarini Paolo, 41) Colantoni Maria Pia,  42)  Colecchia  Paolo,  43)
Colella Cristina,  44)  Comparato  Franco,  45)  Conti  Stefano,  46)
Cortese Andrea, 47) Costa  Ruibal  Maria  del  Carmen,  48)  Curatolo
Daniela, 49) D'Ercole Martina, 50) De Girolamo Andrea, 51)  De  Marco
Stefano, 52) De Palma Maurizio, 53) De Paolis Domenica, 54) De Santis
Massimo, 55) Del Beato Caterina, 56)  Desideri  Carlo,  57)  Di  Bona
Andrea, 58) Di Giacomo Carlo, 59) Di Giacomocarlo Nadia, 60) Di Siena
Anna, 61) Di Ventura Maria, 62) Fabi Catia, 63) Falcone  Silvia,  64)
Felici Flavia, 65) Felici Paolo, 66)  Filocamo  Vittoria,  67)  Fiore
Daniela, 68) Fiore Lucia, 69) Formisano Osvaldo,  70)  Forti  Fausto,
71) Fortunato Laura, 72) Gandolfo Anna Maria, 73) Gentili Elisa,  74)
Giambanco Piergiuseppe, 75) Giannotti Tiziana, 76)  Giglietti  Sonia,
77) Ginese  Angelo,  78)  Ginese  Gabriella,  79)  Greco  Fabio,  80)
Guadagno Saverio, 81) Guardalupi Cecilia, 82)  Guerra  Fabrizio,  83)
Gulisano Cinzia, 84) Ionta Carlo, 85) Isola Raffaella, 86) Iuzzarelli
Roberto, 87) Lilli Francesca, 88) Liuti Maurizio, 89) Lo Moro Carmelo
Andrea, 90) Lo  Vasto  Simonetta,  91)  Logozzo  Maurizio,  92)  Lupi
Emmanuela, 93) Marchetti Araldo, 94) Marchetti Lucia, 95)  Marchionni
Emilia, 96)  Marchiorri  Marco,  97)  Marciani  Maria  Cristina,  98)
Marconi Bruno, 99) Marcucci Marco, 100)  Mauramato  Anna  Rita,  101)
Maurich Marco,  102)  Mecca  Anna  Rita,  103)  Melis  Claudia,  104)
Meneguzzi Adriano, 105) Menichetti Emanuela, 106) Merlino  Antonella,
107) Mezzoiuso Giuseppe, 108) Micozzi Andrea, 109) Migliore Girolamo,
110) Mocetti Sara, 111) Modesti  Carla,  112)  Morgia  Valerio,  113)
Muscas Marco Antonio, 114) Nardelli Paolo,  115)  Narduzzi  Cristina,
116) Nati Silvia, 117) Nepi Paolo, 118) Nevadini Andrea, 119)  Nicoli
Roberta, 120) Orsini Federica, 121) Pace Graziella, 122)  Pala  Maria
Antonietta, 123) Palmucci Caterina,  124)  Paniccia  Francesca,  125)
Pappalardo Daniela, 126) Pellegrino Michele, 127) Perrone Elide, 128)
Picozzi Paola, 129) Presti Maria, 130) Proietti Semproni Marco,  131)
Pusceddu Massimo, 132)  Pusole  Laura,  133)  Puzzuoli  Enrico,  134)
Rampin Alessandro, 135) Ramundo Gianluigi, 136)  Rava  Alberto,  137)
Rivieccio Amerigo, 138) Rizzi Paola,  139)  Rocchetti  Roberto,  140)
Romiti Marco, 141) Rosi Massimo, 142) Rucci  Simona,  143)  Sabatucci
Vittoria, 144) Saccotelli Vincenzo, 145) Santececca Tania, 146) Santi
Isabella, 147) Santelli Fabio, 148)  Santini  Rosanna,  149)  Santoro
Giuliana, 150) Sarra Daniela, 151) Scarpa  Patrizia,  152)  Sciamanna
Antonella, 153) Serafinelli Paola, 154)  Solia  Alberto,  155)  Solla
Stefano, 156) Spada Massimo, 157) Spellucci Francesco, 158)  Sperduti
Massimo, 159) Starnoni Claudia,  160)  Suriani  Marco,  161)  Talucci
Monica, 162) Tarditi Fabrizio, 163) Teofili Anna,  164)  Tifi  Virna,
165) Torretti Marina, 166) Trivelli Roberta, 167) Trogu Simona,  168)
Tucci Cristiana, 169) Urso Daniela, 170) Vichi Barbara, 171)  Vitelli
Francesca Maria, 172) Zanni Paolo, 173) Zeppa Iole, 174) Zito  Marco,
175, elettivamente domiciliati in Roma, alla  via  Cicerone,  n.  49,
presso lo studio dell'avv.  Vincenzo  Ribet,  che  li  rappresenta  e
difende, unitamente agli avv.ti Renato Clarizia e Paolo  Teodoli,  in
virtu' di mandati in calce al ricorso introduttivo, ricorrenti; 
    e  Camera  dei  deputati  -  in  persona  del  presidente  e  del
segretario generale pro tempore -  rappresentata  e  difesa  ex  lege
dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui  uffici  domicilia
in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, convenuta. 
    Con ricorso depositato in data 4 novembre 2014, Ignazio Aiello  e
gli altri 174 litisconsorti sopra indicati, premesso di essere  tutti
i  dipendenti  della  Camera  dei  deputati,  hanno  esposto  che  la
retribuzione dei dipendenti della Camera e' stabilita sulla  base  di
tabelle deliberate dall'Ufficio di Presidenza nel 1980 a  seguito  di
contrattazione tra il Comitato per gli  affari  del  personale  della
Camera dei deputati e  le  organizzazioni  sindacali,  e  soggette  a
periodico aggiornamento previa contrattazione triennale; che dal 1980
tutte le questioni inerenti lo  stato  giuridico  ed  il  trattamento
economico dei dipendenti sono oggetto - ai  sensi  dell'art.  75  del
Regolamento dei servizi e del personale della Camera dei  deputati  -
di uno specifico meccanismo di contrattazione sindacale tra l'Ufficio
di Presidenza ed il Comitato per gli  affari  del  personale  da  una
parte e le organizzazioni sindacali dall'altra; che  la  progressione
economica della retribuzione e' regolata dall'art. 69, comma  1,  del
Regolamento dei servizi e  del  personale  il  quale  stabilisce  che
«nell'ambito  di   ciascun   livello   funzionale   la   progressione
retributiva corrispondente all'anzianita' maturata e' ordinata in una
successione di classi stipendiali di norma biennali»; che il comma  4
dello stesso articolo prevede che «dopo il raggiungimento dell'ultima
classe stipendiale si applicano aumenti biennali terminali del  2,50%
ciascuno»; che  con  decreto  n.  824/2014  del  6  ottobre  2014  la
presidente  della  Camera  ha   reso   esecutiva   la   deliberazione
dell'Ufficio di Presidenza n. 102/2014 del 30 settembre 2014  con  la
quale sono state approvate disposizioni volte  ad  introdurre  limiti
alla progressione di carriera; che, infatti, l'art. 1, comma  1,  del
citato  provvedimento  stabilisce  che  «le  progressioni  economiche
spettanti ai consiglieri parlamentari sono bloccate al raggiungimento
di  una  retribuzione  complessiva  pari,  al  netto  dei  contributi
previdenziali e delle indennita' di funzione al limite retributivo di
euro 240.000»; che inoltre il successivo art. 2, comma 1,  stabilisce
che «le progressioni economiche spettanti ai dipendenti  in  servizio
diversi dai consiglieri parlamentari sono bloccate al  raggiungimento
della posizione stipendiale corrispondente al 23° anno di carriera  e
comunque al  raggiungimento  dei  limiti  retributivi  massimi»;  che
l'art. 4 del provvedimento regola il contributo  straordinario  sugli
importi eccedenti i limiti retributivi, indicando la misura  di  tale
contributo, crescente  sia  per  le  diverse  quote  di  retribuzione
eccedenti sia nel tempo; che tale provvedimento ha riformato in peius
quanto previsto dall'art.  69  del  Regolamento  dei  servizi  e  del
personale, senza prevedere alcun limite di  durata  al  blocco  delle
progressioni economiche; che inoltre e' stato assunto unilateralmente
dall'Ufficio di Presidenza il 30 settembre 2014 senza  alcun  accordo
con le organizzazioni sindacali; e che  essi  ricorrenti  sono  tutti
interessati dal provvedimento suddetto avendo gia' raggiunto  il  23°
anno di  carriera  o  dovendo  raggiungerlo  in  data  precedente  la
maturazione dei requisiti per accedere al trattamento pensionistico. 
    I ricorrenti hanno ritenuto sussistere la competenza del  giudice
ordinario e, in particolare, del giudice del  lavoro,  reputando  che
non osti alla giurisdizione ordinaria la disposizione dell'art. 1 del
Regolamento per la tutela giurisdizionale dei dipendenti della Camera
secondo cui «I dipendenti della Camera dei deputati, in servizio o in
quiescenza, possono ricorrere per la  tutela  dei  propri  diritti  e
interessi legittimi, in base alle  norme  del  presente  regolamento,
contro gli atti e  i  provvedimenti,  anche  di  carattere  generale,
adottati dall'Amministrazione», poiche'  tale  norma  -  relativa  al
giudizio avanti la Commissione giurisdizionale interna ed al Collegio
d'appello della Camera - ha  carattere  regolamentare  ed  e'  quindi
priva di forza e valore formale e  sostanziale  di  legge.  Osservano
inoltre che la detta disposizione  conferisce  mera  possibilita'  di
adire gli organi  interni  per  la  risoluzione  delle  controversie,
lasciando salva quindi la facolta'  di  proporre  azione  dinanzi  al
giudice ordinario. 
    Sostengono poi che tali organi  siano  a  tutti  gli  effetti  di
natura politica, essendo composti da deputati in carica, nominati dal
presidente della Camera, e non appaiano dotati delle  caratteristiche
di autonomia  ed  indipendenza  che  consentano  di  definirli  quali
giudici. 
    I ricorrenti,  a  supporto  della  propria  tesi  in  materia  di
giurisdizione, deducono  anche  che  il  Protocollo  delle  relazioni
sindacali della Camera stabilisce,  alla  lettera  B),  che  «formano
oggetto di contrattazione periodica con le  organizzazioni  sindacali
tutte le questioni attinenti allo stato giuridico  e  al  trattamento
economico  globale  del  personale»,  e,   alla   lettera   E),   che
«l'amministrazione  si  impegna  al  rispetto  nei  confronti   delle
organizzazioni  sindacali   del   personale   della   Camera,   delle
guarentigie dello statuto dei diritti dei lavoratori  applicabile  al
pubblico impiego, in quanto richiamate dalla legge 29 marzo 1983,  n.
93»; e che l'art. 102 del Regolamento dei  servizi  e  del  personale
stabilisce: «per tutto cio'  che  non  e'  contemplato  nel  presente
regolamento si fa riferimento, in quanto applicabili, alle norme  che
regolano lo stato giuridico degli impiegati civili dello Stato». 
    Ad avviso dei ricorrenti, quindi, da tali disposizioni, le  quali
rinviano a quelle generali per il pubblico  impiego,  deve  desumersi
che il rapporto di lavoro del  personale  della  Camera  deve  essere
considerato incluso nella categoria dei rapporti di  lavoro  pubblico
«contrattualizzato» con la conseguenza che,  applicandosi  l'art.  63
del decreto legislativo  n.  165/2001,  le  controversie  inerenti  i
rapporti di lavoro sono devolute al giudice ordinario del  lavoro  il
quale conosce tutti i vizi di  legittimita',  senza  distinzioni  tra
norme sostanziali e procedurali. 
    I ricorrenti argomentano poi in merito ai limiti della cosiddetta
autodichia, richiamando il contenuto della sentenza n.  120/2014  con
cui la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la  questione
di legittimita' costituzionale sollevata dalla  Corte  di  cassazione
con  ordinanza  del  6  maggio  2013,  n.  10400,   relativamente   a
disposizioni regolamentari del Senato, ma avrebbe lasciato  intendere
che, se si fosse sollevata questione di conflitto di attribuzione tra
poteri dello  Stato,  la  pronuncia  sarebbe  stata  diversa;  ed  ha
affermato che  davanti  a  cio'  che  «[...]  esuli  dalla  capacita'
classificatoria del regolamento parlamentare e  non  sia  per  intero
sussumibile sotto la disciplina di  questo  (perche'  coinvolga  beni
personali  di  altri  membri  delle  Camere  o  beni   che   comunque
appartengano a terzi), deve prevalere la «grande regola» dello  Stato
di diritto ed il conseguente regime  giurisdizionale  al  quale  sono
normalmente sottoposti, nel nostro sistema  costituzionale,  tutti  i
beni giuridici e tutti i  diritti  (articoli  24,  112  e  113  della
Costituzione)». 
    Richiamando inoltre l'ordinanza del 6 maggio 2013 della Corte  di
cassazione, i ricorrenti sottolineano i profili di illegittimita' del
sistema di autodichia il quale si porrebbe in contrasto con l'art.  3
della  Costituzione  perche'  l'essere  dipendente  di  un  ramo  del
Parlamento non e' elemento significativo ai fini  di  un  trattamento
differenziato nella tutela giurisdizionale, con l'art.  102,  secondo
comma, Cost. perche' le cause di lavoro dei dipendenti  delle  Camere
sarebbero sottoposte ad un giudice speciale, nonche' con  l'art.  111
Cost. con riferimento al principio del  giusto  processo  poiche'  il
processo si svolgerebbe dinanzi ad una delle parti, cioe'  lo  stesso
datore di lavoro, e non dinanzi ad un giudice terzo ed imparziale. 
    Nel merito, i ricorrenti deducono che il rapporto di  lavoro  dei
dipendenti della Camera e le relative  retribuzioni  hanno  natura  e
carattere contrattuale con la  conseguenza  che  non  possono  essere
oggetto di modificazioni unilaterali da parte di uno dei  contraenti;
che l'art. 69, comma 1, del Regolamento dei servizi e  del  personale
prevede  una  progressione   retributiva   determinata   dalla   sola
anzianita' maturata con conseguente obbligo per il datore  di  lavoro
di erogare, in relazione all'anzianita', una data  retribuzione;  che
essi  godono  quindi  non  soltanto  di  una  mera   aspettativa   di
retribuzione, ma di un vero e proprio diritto di credito certo la cui
esecuzione e' differita nel tempo al solo maturare dell'anzianita'  e
della connessa classe stipendiale; che, anche nell'ipotesi in cui  la
progressione economica costituisse mera aspettativa di carriera, come
ritenuto  dalla  Corte  costituzionale,  un  intervento   legislativo
diretto a regolare situazioni pregresse e' legittimo a condizione che
vengano rispettati i canoni costituzionali  di  ragionevolezza  ed  i
principi generali di tutela del legittimo affidamento e  di  certezza
delle situazioni giuridiche; che, in particolare, con sentenza n. 310
del 2013, la Corte costituzionale  ha  ribadito,  che  per  escludere
l'irragionevolezza di misure, come quella per cui e'  causa,  occorre
che  le  stesse  abbiano  carattere  eccezionale,  transitorio,   non
arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato, nonche'  temporalmente
limitato  dei  sacrifici  richiesti  e  che  siano   finalizzate   al
raggiungimento di esigenze, immediate e non future,  di  contenimento
della  spesa  pubblica;  che  tali   caratteri   sono   assenti   nel
provvedimento  contestato  del   30   settembre   2014;   che   anche
nell'ipotesi in cui non si ravvisasse un diritto soggettivo  perfetto
ma  una  mera  aspettativa,  la  strutturazione   di   una   carriera
configurata all'atto dell'assunzione come connessa al  solo  scorrere
del   tempo   crea   nei   dipendenti   un   legittimo   affidamento,
costituzionalmente garantito, nella progressione di carriera cosi' da
consolidare il principio del divieto di  reformatio  in  peius  delle
retribuzioni; che anche la giurisprudenza  della  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo ha posto in evidenza che il diritto di credito  del
lavoratore alla retribuzione convenuta, ossia un credito  futuro  per
il   quale   si   puo'   vantare   una   aspettativa   legittima   di
concretizzazione, costituisce un «bene da tutelare ai sensi dell'art.
1 del Protocollo addizionale alla CEDU»; che la delibera dell'Ufficio
di Presidenza del 30 settembre 2014 ed il conseguente decreto  del  6
ottobre 2014 del Presidente sono illegittimi poiche' contrastanti con
l'art. 75 del Regolamento dei servizi e del personale secondo cui gli
aggiornamenti dello  stato  giuridico  e  del  trattamento  economico
devono essere determinati attraverso lo strumento contrattuale,  come
confermato dal Protocollo delle relazioni sindacali,  sicche'  e'  da
escludere un intervento unilaterale di una delle parti  del  rapporto
contrattuale; che, pure  nell'ipotesi  in  cui  i  detti  atti  siano
considerati provvedimenti amministrativi, gli stessi sono  nulli  per
contrasto con l'art. 75  citato  e  con  il  citato  Protocollo;  che
inoltre  gli  atti   in   questione   sono   affetti   da   vizi   di
costituzionalita'    che    comportano    l'annullamento    e/o    la
disapplicazione: 
    1)   la   Corte   costituzionale   ha   piu'   volte    affermato
l'illegittimita' di ogni  riduzione  del  trattamento  economico  del
pubblico  impiego  in   assenza   di   una   ridefinizione   «secondo
ragionevolezza» dei contenuti giuridici del rapporto di lavoro; 
    2) la regolamentazione  adottata  dalla  Camera  prevede  che  la
decurtazione delle retribuzioni avvenga attraverso  l'istituzione  di
un  prelievo  forzoso  denominato  «contributo  di  solidarieta'»   o
attraverso il blocco della progressione economica, misure che,  nella
sentenza n. 223/2012 il Giudice delle  leggi  ha,  in  caso  analogo,
ritenuto costituire imposizioni di  carattere  tributario,  emergente
dalla doverosita' della prestazione e dall'assenza di una modifica al
rapporto sinallagmatico idonea a giustificare la decurtazione; 
    3) in  base  all'art.  23  Cost.,  un  intervento  definitivo  di
reformatio in peius sarebbe possibile solo se previsto dalla legge  e
non quindi da un atto assunto dall'Ufficio di Presidenza; 
    4) nell'introdurre limiti retributivi massimi il provvedimento in
questione ha previsto prelievi differenziati privi di giustificazione
a parita' di reddito; 
    5) l'applicazione dei limiti retributivi  e  di  progressione  di
carriera rappresenta un trattamento discriminatorio nei confronti dei
dipendenti della Camera che sono gli unici a subire tale  imposizione
tra   tutti   i   dipendenti   pubblici   contrattualizzati   e   non
contrattualizzati; 
    6) la decisione assunta dall'Ufficio di Presidenza contrasta  con
il principio di proporzionalita' della retribuzione sancito dall'art.
36 Cost.; 
    7) la violazione della possibilita' di negoziare, anche  solo  in
ordine ad incrementi retributivi, determina una anomala  interruzione
delle disposizioni vigenti, cioe' il Regolamento dei  servizi  e  del
personale ed il Protocollo delle relazioni  sindacali  e  quindi  del
valore dell'autonomia  negoziale  riservata  alle  parti  nell'ambito
della contrattazione; 
    8) la regolamentazione  adottata  e'  estremamente  irragionevole
siccome legata al diverso trattamento del personale,  a  seconda  che
percepisca una retribuzione inferiore o superiore ai  «tetti»  e,  in
quest'ultimo caso, a seconda di quanto se ne distanzi; 
    9)  il  provvedimento  contestato  solleva  ulteriori  dubbi  per
violazione dei principi di uguaglianza, ragionevolezza legislativa  e
solidarieta' sociale poiche', a fronte del dettato normativo  di  cui
all'art. 13 del decreto-legge n. 66/2014, che fissa in  €  240.000,00
l'unico limite al trattamento economico del  personale  pubblico,  ha
apposto ulteriori limiti per  le  retribuzioni  dei  soli  dipendenti
della Camera. 
    I ricorrenti hanno percio' chiesto: a) accertare l'illiceita' e/o
l'illegittimita' del comportamento dell'Amministrazione; b) accertare
la  nullita'  e/o   illegittimita'   della   delibera   n.   102/2014
dell'Ufficio di presidenza della Camera dei deputati e del decreto n.
824/2014 della presidente della Camera dei deputati; c)  disapplicare
la delibera n. 102/2014 dell'Ufficio di Presidenza della  Camera  dei
deputati ed il decreto n. 824/2014 della Presidente della Camera  dei
deputati; d) condannare la Camera dei deputati all'esatto adempimento
delle obbligazioni contrattuali assunte nei loro confronti, ai  sensi
dell'art. 1372 cod. civ.; e) adottare ogni altro provvedimento che si
renda  necessario  ai  sensi  dell'art.  63,  comma  2,  del  decreto
legislativo n. 165/2001 per assicurare il pieno rispetto  delle  loro
posizioni soggettive. 
    La Camera dei deputati, costituitasi con memoria  depositata  l'8
maggio 2015 - premesso che i provvedimenti oggetto  di  contestazione
da parte dei ricorrenti sono stati adottati in un contesto  di  crisi
economica e sociale al fine di contenere i costi di funzionamento, in
linea con provvedimenti legislativi emanati nel 2011 e nel 2014, dopo
aver comunque condotto trattative con le organizzazioni  sindacali  -
ha preliminarmente eccepito il difetto di giurisdizione  del  giudice
ordinario stante il regime di autodichia vigente per le  controversie
insorte tra la Camera dei deputati ed i propri dipendenti, senza  che
possa ipotizzarsi violazione  di  principi  fondamentali  in  materia
poiche' gli organi previsti dai regolamenti  parlamentari  godono  di
piene  garanzie  di  indipendenza  e  terzieta',  come   piu'   volte
riconosciuto dalla giurisprudenza, anche costituzionale, la quale  ha
escluso possibili contrasti tra la cosiddetta giurisdizione domestica
ed i principi fondamentali del nostro ordinamento. 
    Nel merito, l'Organo convenuto ha dedotto che,  contrariamente  a
quanto sostenuto dai ricorrenti, i rapporti di  lavoro  in  questione
non hanno carattere contrattuale ne' ha natura negoziale la  delibera
impugnata giacche' la  fonte  normativa  costituita  dal  regolamento
interno riserva all'Ufficio di Presidenza il potere di  disciplinare,
attraverso propri atti normativi, lo stato giuridico ed economico dei
dipendenti, come  specificato  nel  Regolamento  dei  servizi  e  del
personale, sicche' il personale della Camera deve essere  assimilato,
pur con le opportune differenziazioni,  ai  dipendenti  pubblici  non
contrattualizzati di cui all'art. 3 decreto legislativo  n.  165  del
2001 in quanto, pur essendo previste trattative con le organizzazioni
sindacali dei dipendenti, le proposte conclusive sono sottoposte alla
deliberazione dell'Ufficio di Presidenza per cui, come avviene  nella
disciplina di diritto comune per i lavoratori non  contrattualizzati,
e' solo l'atto normativo di diritto pubblico, cioe' la  deliberazione
dell'Ufficio di Presidenza, che produce gli effetti modificativi  del
regime giuridico ed economico dei dipendenti. 
    L'Organo convenuto ha poi evidenziato che, pertanto, l'Ufficio di
Presidenza ha  il  potere  anche  di  modificare  unilateralmente  il
trattamento dei dipendenti con atti non  di  carattere  negoziale  ma
normativo, quale appunto la delibera  n.  102  del  2014  oggetto  di
contestazione. 
    Quanto   agli   ipotizzati   vizi   di   costituzionalita'    del
provvedimento,  gli  stessi  -  ad  avviso  del  convenuto   -   sono
inammissibili per difetto di interesse concreto ed attuale quanto  ai
ricorrenti la cui retribuzione e' inferiore al  «tetto»,  e  comunque
sono insussistenti, giacche' le misure limitative dei livelli massimi
delle retribuzioni non sono affatto irragionevoli ma  si  inseriscono
anzi  nelle  determinazioni  politiche  assunte  negli  ultimi   anni
nell'ottica di assicurare la sostenibilita' delle finanze  pubbliche,
senza che neppure possa  ipotizzarsi  violazione  del  principio  del
legittimo affidamento in relazione alla tutela  della  proprieta'  di
cui all'art. 1 Prot. n. 1 CEDU giacche' tale disposizione  garantisce
future entrate a condizione che si tratti di  somme  che  siano  gia'
state guadagnate,  e  non  tutela  invece  legittime  aspettative  di
guadagni futuri. 
    La Corte di cassazione - Sezioni  Unite,  con  ordinanza  del  19
dicembre 2014, n. 26934 - resa nel medesimo procedimento  da  cui  e'
scaturito incidente di costituzionalita' definito con declaratoria di
inammissibilita' pronunciata dalla  Corte  costituzionale  (sent.  n.
120/2014) - ha sollevato conflitto di attribuzione tra i poteri dello
Stato  chiedendo  dichiararsi  che  non  spettava  al  Senato   della
Repubblica deliberare gli articoli 72-84 del titolo 2°  (Contenzioso)
del  Testo  unico  delle  norme  regolamentari   dell'Amministrazione
riguardanti il personale del Senato  della  Repubblica:  «a)  in  via
principale nella parte in cui - violando l'art 3, comma 1,  art.  24,
comma 1, art. 102, comma 2, quest'ultimo in combinato disposto con la
6ª disposizione transitoria, art. 108 Cost.,  comma  2,  e  art.  111
Cost., commi 1 e 2 precludono l'accesso  dei  dipendenti  del  senato
alla tutela  giurisdizionale  in  riferimento  alle  controversie  di
lavoro  insorte  con  l'Amministrazione  del  Senato;   b)   in   via
subordinata nella parte in cui - violando l'art. 111 Cost., comma  7,
e art. 3 Cost.,  comma  1  -  non  consentono,  contro  le  decisioni
pronunciate  dagli  organi  giurisdizionali  da   tali   disposizioni
previste, il ricorso in Cassazione per violazione di legge  ai  sensi
dell'art. 111 Cost., comma 7». 
    Le ampie e condivisibili  argomentazioni  esposte  dalle  Sezioni
Unite a sostegno del  citato  provvedimento  interlocutorio  appaiono
sostanzialmente sovrapponibili alla fattispecie ora in esame. 
    I ricorrenti hanno adito questo Giudice da un lato ritenendo  che
lo stesso sia competente ai sensi dell'art.  409,  5°  comma,  c.p.c.
giacche' l'art. l del Regolamento per la tutela  giurisdizionale  dei
dipendenti della Camera prevedrebbe una mera facolta'  di  adire  gli
organi giurisdizionali interni per la tutela di diritti ed  interessi
legittimi dei lavoratori  e,  dall'altro,  che,  sulla  scorta  degli
argomenti esposti dalla Corte  di  cassazione  nell'ordinanza  del  6
maggio 2013, n. 10400, e  dalla  Corte  costituzionale  nella  citata
sentenza n. 120/2014, sussiste assoluta incompetenza della Camera  ad
emanare provvedimenti che  abbiano  contenuto  giurisdizionale  nella
materia dei rapporti di lavoro con i propri dipendenti. 
    Per contro, la Camera dei  deputati  ha  sollevato  eccezione  di
difetto   di   giurisdizione   affermando   che   i   propri   organi
giurisdizionali  hanno  competenza  esclusiva   in   relazione   alle
controversie insorte con i dipendenti ed ha richiamato  in  proposito
l'orientamento della Corte costituzionale (sent. n. 154 del  1985)  e
della Corte di  cassazione  (SS.UU.  n.  317/1999  e  n.  11019/2004)
secondo cui i regolamenti parlamentari, su cui si fonda l'autodichia,
sono fonti normative di  rango  primario  e  percio'  sostanzialmente
parificate  alle  leggi  ordinarie,  in  quanto  dispiegano  la  loro
efficacia nella sfera di azione interna alle  Assemblee  legislative,
che  e'  riservata  alla  loro  autonomia  per  ragioni  di  garanzia
dell'indipendenza delle Assemblee stesse. 
    Non sembra possa dubitarsi del fatto  che,  nell'attuale  assetto
ordinamentale, come per il Senato  della  Repubblica,  anche  per  la
Camera  dei  deputati  gli  organi  giurisdizionali   interni   hanno
competenza  esclusiva   sulle   controversie   affidate   alla   loro
cognizione, labile essendo l'argomento letterale in  senso  contrario
addotto dai ricorrenti.  Invero,  la  formulazione  dell'art.  1  del
Regolamento per la tutela giurisdizionale dei dipendenti  (modificato
con decreto del Presidente della Camera dei deputati n.  781  del  15
ottobre 2009, in Gazzetta Ufficiale 19 ottobre 2009, n. 243,  in  cui
e' riportato il testo integrale comprensivo delle  modifiche)  indica
soltanto  che  ciascun  dipendente  ha  facolta'  di  adire  l'organo
giurisdizionale  ove  ritenga  lesi  i  propri  diritti  o  interessi
legittimi, non diversamente  da  come  l'art.  24,  1°  comma,  Cost.
riconosce che «Tutti possono agire in  giudizio  per  la  tutela  dei
propri diritti e interessi legittimi». 
    Nell'interpretazione ormai da lungo consolidata,  gli  organi  di
giustizia costituiti all'interno delle Camere hanno non  solo  natura
giurisdizionale ma anche competenza esclusiva nelle  materie  a  loro
riservate (v. Corte cost. n. 154 del 1985 e, da ultimo, la  sent.  n.
120/2014 che riconduce l'autodichia, intesa come «potere di giudicare
in via esclusiva  e  definitiva  i  ricorsi  avverso  gli  atti  e  i
provvedimenti  adottati  dall'amministrazione  di   quel   ramo   del
Parlamento nei confronti degli  stessi  dipendenti,  con  conseguente
esclusione del sindacato di qualsiasi giudice esterno in ordine  alle
controversie che attengono allo stato ed alla carriera  giuridica  ed
economica dei dipendenti», ad una «antica tradizione interpretativa»;
nonche' SS.UU. 27 maggio 1999, n. 317). 
    Nel presente giudizio, quindi, non appare possibile, allo  stato,
procedere  all'esame  della  controversia  nel  merito  giacche'   la
competenza giurisdizionale sulla stessa  spetta,  in  via  esclusiva,
agli organi interni giurisdizionali della Camera dei deputati. 
    La autodichia della Camera trova il suo fondamento  nell'art.  12
del Regolamento (doc. 1 produzione convenuta), il cui comma 3 recita:
«L'Ufficio di Presidenza  adotta  i  regolamenti  e  le  altre  norme
concernenti: [...] d) lo stato giuridico, il trattamento economico  e
di quiescenza e  la  disciplina  dei  dipendenti  della  Camera,  ivi
compresi i doveri relativi al  segreto  d'ufficio;  [...]  i  ricorsi
nella materia di cui alla lettera d), nonche' i ricorsi  e  qualsiasi
impugnativa, anche  presentata  da  soggetti  estranei  alla  Camera,
avverso gli altri atti di amministrazione della Camera medesima». 
    In forza di tale disposizione di rango  primario  (trovando  essa
diretto fondamento nella disposizione di cui all'art. 64,  1°  comma,
Cost.), vengono appunto  emanati  regolamenti  sub-primari,  tra  cui
quello sopra citato sulla tutela giurisdizionale. 
    Competente a decidere in primo grado sui ricorsi  presentati  dai
dipendenti della Camera e' quindi la Commissione giurisdizionale  per
il personale. Essa, nominata con decreto del Presidente della Camera,
e' composta di sei membri scelti, mediante sorteggio, da un elenco di
deputati in carica  che  siano  magistrati,  anche  a  riposo,  delle
giurisdizioni ordinaria e amministrativa, professori universitari  in
materie giuridiche, avvocati,  avvocati  dello  Stato  o  procuratori
presso l'Avvocatura dello Stato, anche a riposo. 
    Il sorteggio e' effettuato sulla base di liste di venti  deputati
designati rispettivamente dal Presidente della Camera, dal Segretario
generale nonche', d'intesa fra loro, dalle  Organizzazioni  sindacali
ovvero, in mancanza  di  accordo,  indicati  in  ragione  di  due  da
ciascuna delle stesse Organizzazioni sindacali. 
    I componenti dell'Ufficio di Presidenza  non  possono  far  parte
della Commissione giurisdizionale.  L'incarico  di  componente  della
Commissione giurisdizionale e' incompatibile con quello di membro del
Governo e  di  componente  del  Consiglio  di  giurisdizione  di  cui
all'art. 2 del Regolamento per  la  tutela  giurisdizionale  relativa
agli  atti  di  amministrazione  non  concernenti  i  dipendenti.  Il
Presidente della Commissione e' designato dal Presidente della Camera
tra i componenti della stessa (v. art. 3 del Regolamento citato). 
    Il procedimento e  la  decisione  sono  regolati  rispettivamente
dagli artt. 4 e 5 del Regolamento. 
    Le sentenze  della  Commissione  giurisdizionale  possono  essere
impugnate al Collegio d'appello che  giudica  in  via  definitiva  la
controversia. Tale organo di secondo grado e' nominato dal Presidente
della Camera ed e'  composto  da  cinque  deputati  in  possesso  dei
medesimi requisiti professionali  dei  membri  dell'organo  di  primo
grado. I componenti dell'Ufficio di Presidenza non possono far  parte
del  Collegio  d'appello.  L'incarico  di  componente  del   Collegio
d'appello e' incompatibile con quelli di membro  del  Governo,  della
Commissione giurisdizionale per  il  personale  e  del  Consiglio  di
giurisdizione (art. 6 del Regolamento). 
    Come detto, tale complesso di disposizioni viene a costituire  un
sistema del tutto autonomo ed interno all'Organo  costituzionale  per
la risoluzione delle controversie insorte con il personale dipendente
tanto  da  non  consentire  non  solo  il  ricorso,  quanto  meno  in
alternativa, ad altri  organi  della  giurisdizione,  ma  neppure  il
controllo generale di legittimita' che la  Costituzione  affida  alla
Corte di cassazione (art. 111, 7° comma Cost.), come affermato  dalla
giurisprudenza  della  Suprema  Corte  (Cass.  civ.  Sez.  Unite,  19
novembre 2002, n. 16267). 
    Viene qui richiamato complessivamente il contenuto dell'ordinanza
delle SS.UU. del 19 dicembre 2014, n. 26934, specie  nella  parte  in
cui ripercorre  l'evoluzione  giurisprudenziale  che  ha  condotto  a
ravvisare, anche laddove non vi siano norme sindacabili attraverso il
giudizio incidentale di legittimita', la  possibilita'  di  sollevare
conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato nel caso in cui tali
norme,  facenti  parte  del  complessivo   sistema   dell'ordinamento
giuridico,   appaiano   fonte   di    atti    lesivi    di    diritti
costituzionalmente inviolabili e dovendo  comunque  ritenersi  sempre
possibile un sindacato sul fondamento  costituzionale  stesso  di  un
potere decisorio che limiti quello conferito  dalla  Costituzione  ad
altre autorita'. 
    La disciplina della competenza giurisdizionale della  Camera  dei
deputati appare presentare i medesimi profili di  illegittimita'  che
hanno giustificato la proposizione del conflitto di attribuzione,  da
parte della Corte di  cassazione,  nei  confronti  del  Senato  della
Repubblica.  Le  stesse  Sezioni  Unite,  peraltro,  hanno  sollevato
conflitto  di  attribuzioni  anche  con  riferimento  al  sistema  di
autodichia proprio della Presidenza della Repubblica (v.  Cass.  civ.
Sez. Unite, Ord., 19 gennaio 2015, n. 740, con cui, oltre  ad  essere
esaminati gli aspetti  caratteristici  della  tutela  giurisdizionale
dinanzi  agli  organi  interni  alla  Presidenza,   vengono   esposte
considerazioni di carattere generale sulla autodichia  che,  ove  non
fondata su disposizioni di rango costituzionale, appare  di  per  se'
non    agevolmente    compatibile     con     principi     essenziali
dell'ordinamento). 
    Nella specie, invero, ed analogamente a  quanto  sostenuto  dalle
Sezioni Unite  con  riferimento  alla  autodichia  del  Senato  della
Repubblica, anche l'autodichia della Camera dei  deputati  appare  in
contrasto con il principio  di  eguaglianza  (art.  3,  primo  comma,
Cost.), di cui e' espressione  il  diritto  di  ognuno  di  agire  in
giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi (art.
24 Cost., comma 1). 
    «L'eguaglianza  davanti  alla  legge,  come  canone  generale   e
principio fondamentale, si specifica come eguaglianza in  particolare
nell'accesso alla tutela giurisdizionale, quale diritto inviolabile. 
    E'  un  principio  fondamentale  che  si  salda  ad  un   diritto
espressamente riconosciuto come inviolabile e che genera  una  tutela
forte, appartenente al nucleo essenziale ed irrinunciabile del  patto
sociale su cui si fonda l'ordinamento costituzionale  fin  da  essere
attratto  all'area  dei   cd   controlimiti,   ossia   dei   principi
fondamentali  e   dei   diritti   inviolabili   della   persona   che
costituiscono   gli    elementi    identificativi    essenziali    ed
irrinunciabili dell'ordinamento costituzionale. 
    Questa garanzia viene in sofferenza - ad avviso di questa Corte -
nel momento in cui una categoria di soggetti e' esclusa dalla  tutela
giurisdizionale in ragione di un elemento - l'essere  dipendenti  del
Senato  -   non   significativo,   ne'   giustificativo   sul   piano
costituzionale, ai fini del loro trattamento differenziato. 
    Nella stessa cit. sent. n. 120 del 2014 - in cui veniva in rilevo
proprio  questo  trattamento  differenziato,  denunciato  da   queste
Sezioni Unite con la menzionata ordinanza del  6  maggio  2013  -  la
stessa Corte costituzionale ha posto in evidenza che  il  diritto  di
accesso  alla  giustizia  (art.  24  Cost.)  costituisce  un  diritto
fondamentale; affermazione confermata ancor piu'  recentemente  dalla
cit. sent. n. 238 del 2014  che  ha  ribadito  che  «fra  i  principi
fondamentali dell'ordinamento costituzionale  vi  e'  il  diritto  di
agire e  di  resistere  in  giudizio  a  difesa  dei  propri  diritti
riconosciuto dall'art. 24 Cost., in breve  il  diritto  al  giudice»,
aggiungendo che il diritto al giudice ed a una tutela giurisdizionale
effettiva  dei  diritti  inviolabili  e'  sicuramente  tra  i  grandi
principi di civilta' giuridica in ogni sistema democratico del nostro
tempo. Cfr. anche sent. n. 98 del 1965 che  ha  sottolineato  che  il
diritto  alla  tutela  giurisdizionale  e'  tra  quelli   inviolabili
dell'uomo,  che  la  Costituzione  garantisce  all'art.  2,  come  si
arguisce anche dalla considerazione che se ne e'  fatta  nell'art.  6
della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. 
    In  generale  la  Corte  ha  ascritto  il  diritto  alla   tutela
giurisdizionale  tra  i  principi  supremi  del  nostro   ordinamento
costituzionale,  in  cui  e'  intimamente  connesso  con  lo   stesso
principio di democrazia l'assicurare a tutti e sempre, per  qualsiasi
controversia, un giudice e un giudizio (sent. n. 18 del 1982 e n.  82
del 1996). La Corte ha anche osservato che  al  riconoscimento  della
titolarita' di diritti non puo' non accompagnarsi  il  riconoscimento
del potere di farli valere innanzi ad un giudice in  un  procedimento
di natura giurisdizionale:  pertanto  l'azione  in  giudizio  per  la
difesa dei propri diritti ... e'  essa  stessa  il  contenuto  di  un
diritto, protetto dagli artt. 24 e 113 Cost.  e  da  annoverarsi  tra
quelli inviolabili e caratterizzanti lo stato democratico di  diritto
(sent. n. 26 del 1999, n. 120 del 2014, n. 386 del 2004 e n.  29  del
2003). Cfr. anche sent. n. 212  del  1997  che  ha  sottolineato  che
nell'ordinamento, secondo il principio di assolutezza, inviolabilita'
e universalita' del diritto alla tutela giurisdizionale (artt.  24  e
113 Cost.),  non  v  'e'  posizione  giuridica  tutelata  di  diritto
sostanziale, senza che vi sia un giudice davanti al quale essa  possa
essere fatta valere. 
    Ne' appare concretamente ipotizzabile che l'autonomia del Senato,
che certamente ha una posizione  guarentigiata  di  alto  profilo  in
ragione della centralita' e  della  primazia  del  Parlamento,  possa
bilanciare, fino a comprimerlo del  tutto,  il  diritto  alla  tutela
giurisdizionale del personale dipendente nella  misura  in  cui  puo'
ragionevolmente  escludersi  che   alcun   rischio   tale   autonomia
guarentigiata corra a causa di un'iniziativa giudiziaria  di  un  suo
dipendente,  qual  e'  l'attuale  ricorrente  che,  assegnatario   di
mansioni impiegatizie (con l'iniziale qualifica di coadiutore), si e'
doluto in sostanza  dell'inquadramento  ritenuto  non  corrispondente
alle mansioni e di un  asserito  demansionamento  [nella  fattispecie
sottoposta all'esame di questo Giudice si tratta di dipendenti che si
dolgono della determinazione della misura delle loro retribuzioni]. 
    13. Puo' poi denunciarsi anche la violazione dell'art. 102 Cost.,
comma  2,  che  esclude  che   possano   essere   istituiti   giudici
straordinari o giudici speciali; parametro questo  che  va  coniugato
con la 6ª disposizione transitoria che  prescrive  che  entro  cinque
anni dall'entrata  in  vigore  della  Costituzione  si  procede  alla
revisione degli organi speciali di giurisdizione all'epoca esistenti,
salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti
(nonche' dei tribunali militari per i quali pero'  e'  prescritto  il
«riordinamento» con legge). 
    La Commissione contenziosa ed il  Consiglio  di  garanzia,  quali
giudici delle controversie dei dipendenti  del  Senato,  si  pongono,
rispetto  alla  giurisdizione  ordinaria,  come   giudici   speciali,
istituiti dopo l'entrata in vigore della Costituzione, senza  che  in
essa ci sia una salvezza, cosi come invece espressamente previsto per
il Consiglio di Stato e la Corte dei conti;  salvezza  che  deroga  a
tale  generale   divieto   proprio   per   essere   essa   di   rango
costituzionale. [Anche gli organi giurisdizionali  della  Camera  dei
deputati appaiono come giudici speciali istituiti dopo  l'entrata  in
vigore della Costituzione]. 
    Ed ove anche si ravvisasse una continuita' con  analogo  apparato
di autodichia nel sistema ordinamentale prerepubblicano,  non  appare
soddisfatta   l'ulteriore   prescrizione   della   6ª    disposizione
transitoria della  Costituzione  che  prescrive  la  revisione  degli
organi speciali di giurisdizione esistenti al momento di  entrata  in
vigore della Costituzione; prescrizione che  invece  -  puo'  notarsi
incidentalmente - si e' ritenuto essere soddisfatta  con  riferimento
al procedimento attivato  con  ricorso  straordinario  al  Presidente
della Repubblica, di cui parimenti la giurisprudenza di questa Corte,
quella del Consiglio di Stato e piu' recentemente anche quella  della
Corte costituzionale, hanno predicato la natura giurisdizionale. 
    Il difetto di revisione degli organi di autodichia del Senato  si
rivelerebbe anche nella parimenti ipotizzata violazione dell'art. 111
Cost.,  recentemente  novellato,  quanto  al  principio  del   giusto
processo (comma 1) e quanto alla necessita' che il contraddittorio si
svolga davanti ad un  giudice  terzo  e  imparziale  (comma  2),  non
potendo ritenersi rispettoso di tali canoni un processo che si svolge
dinanzi  ad  un  giudice  incardinato  in   una   delle   parti   (in
considerazione in particolare  della  circostanza  che  le  decisioni
della Commissione contenziosa, ratificate col  visto  del  presidente
del Senato, possono riguardare ricorsi contro decreti del  presidente
del Senato) [gli organi giurisdizionali della Camera  sono  parimenti
incardinati  in  una  delle  parti:  i   membri   della   Commissione
giurisdizionale sono nominati con decreto del presidente della Camera
il quale designa anche il presidente della Commissione, laddove, come
nella  specie,  puo'  essere  impugnato  un  decreto  del  presidente
medesimo]. Neppure, per la stessa  ragione,  sarebbe  soddisfatto  il
canone della «indipendenza» dei giudici speciali prescritto dall'art.
108 Cost., comma 2 [i  membri  di  entrambi  gli  organi,  in  quanto
deputati, sono soggetti alla  potesta'  disciplinare  del  presidente
della Camera  per  comportamenti  tenuti  in  aula  o  alla  potesta'
disciplinare dell'Ufficio di presidenza su proposta del presidente in
casi di maggiore gravita': v. art. 60 del Regolamento della Camera]. 
    Del  resto,   gia'   in   epoca   ormai   risalente,   la   Corte
costituzionale, proprio  in  riferimento  all'autodichia  del  Senato
(sent. n. 154 del 1985, cit.)  -  pur  dichiarando  inammissibile  la
questione incidentale di legittimita' costituzionale sollevata, anche
allora, da queste Sezioni Unite - non  ha  mancato  di  rilevare  che
«indipendenza ed imparzialita' dell'organo che  decide,  garanzia  di
difesa, tempo ragionevole, in quanto coessenziali al concetto  stesso
di una effettiva tutela,  sono  indefettibili  nella  definizione  di
qualsiasi controversia». 
    Per altro verso il  carattere  giurisdizionale  degli  organi  di
autodichia emerge anche dalla giurisprudenza della Corte europea  dei
diritti dell'uomo che, nella sentenza 28 aprile 2009, Savino ed altri
c. Italia, ha affermato [...] che, ai sensi  dell'art.  6,  comma  1,
della Convenzione, e' giudice  qualsiasi  autorita'  che  dirima  una
controversia  facendo  applicazione  di  norme  di  diritto.  E,  con
riferimento al parallelo  sistema  di  autodichia  della  Camera,  ha
statuito, quanto ai motivi di ricorso, l'assenza di indipendenza e di
imparzialita'  degli  organi  giurisdizionali  della  Camera,  ed  in
particolare dell'organo di appello, ritenendo che la sua composizione
determinasse una  inammissibile  commistione,  in  capo  agli  stessi
soggetti, tra l'esercizio di funzioni amministrative e l'esercizio di
funzioni giurisdizionali: i componenti  dell'Ufficio  di  presidenza,
cui spetta l'adozione dei provvedimenti concernenti il personale.  In
sostanza quella Corte ha ritenuto  che  mancasse,  nella  specie,  il
carattere di terzieta' dell'organo giudicante, attributo  connaturale
all'esercizio della funzione giurisdizionale. 
    Proprio a seguito di tale  pronuncia  gli  organi  di  autodichia
della  Camera  dei  deputati  sono  stati  «revisionati»  tanto   che
recentemente la Commissione giurisdizionale per  il  personale  della
Camera si e' ritenuta legittimata, quale «giudice» rimettente  (Legge
n. 87 del 1953, ex art. 23), a  sollevare  questione  incidentale  di
costituzionalita' in un giudizio in sede di autodichia  relativamente
a controversie promosse dal  personale  dipendente»  (S.U.,  ord.  n.
26934/2014). 
    Sulla base delle sopra riportate  argomentazioni,  non  apparendo
possibile una interpretazione  delle  disposizioni  sub-regolamentari
della Camera tali da escludere ogni dubbio di contrasto con  principi
fondamentali dell'ordinamento costituzionale, posto che,  per  quanto
detto, il sistema della giurisdizione dell'Organo costituzionale  ora
convenuto, per unanime interpretazione, esclude ogni possibilita'  di
ricorso  all'autorita'  giudiziaria  (ordinaria  o   amministrativa),
appare necessario sollevare conflitto di attribuzione  nei  confronti
della Camera dei deputati ai sensi dell'art. 134 Cost. posto che solo
la  Corte  costituzionale  puo'  valutare  se  la  disciplina   sulle
controversie  dei  dipendenti  della  Camera  sia  effettivamente  in
contrasto con i principi costituzionali sopra indicati  (articoli  3,
24, 102 in combinato disposto con  la  VI  disposizione  transitoria,
108, 2° comma, 111, 1° e 2° comma Cost.). 
    La sussistenza del  potere  esclusivo  degli  organi  giusdicenti
della Camera comporta - in presenza dei detti dubbi  di  legittimita'
costituzionale ed apparendo contrasto con il diritto  essenziale  dei
lavoratori dipendenti dell'Organo di ottenere tutela  giurisdizionale
delle  proprie  posizioni  giuridiche  soggettive  -  compressione  o
impedimento del potere giurisdizionale del giudice ordinario adito. 
    E' evidente la sussistenza dell'interesse a ricorrere al  giudice
delle leggi dovendo questo Tribunale dare una risposta  di  giustizia
agli attuali ricorrenti ed essendo cio' precluso dall'esistenza delle
norme del Regolamento per la tutela giurisdizionale  dei  dipendenti,
secondo il testo coordinato con le modifiche  approvate  dall'Ufficio
di presidenza con deliberazione  n.  77  del  6  ottobre  2009,  resa
esecutiva con decreto del presidente della Camera dei deputati n. 781
del 15 ottobre 2009, ed in particolare dalle disposizioni di cui agli
articoli 1-6-bis che disciplinano la  costituzione  degli  organi  di
primo e secondo grado ed il procedimento. 
    Quanto al requisito soggettivo, la natura di potere  dello  Stato
di ogni giudice dell'ordinamento  giudiziario  e'  stato  piu'  volte
riconosciuto (v., ex multis, Corte cost. ordinanza, 17 dicembre 2014,
n. 286). 
    Analogamente a quanto prospettato dalla Corte di cassazione nella
citata ordinanza n. 26934/2014, pertanto  «il  petitum  del  presente
atto di promovimento del conflitto di attribuzione tra  poteri  dello
Stato, richiesto come  contenuto  del  «ricorso»  ex  art.  24  Norme
integrative per i giudizi  davanti  alla  Corte  costituzionale  puo'
formularsi in termini  piu'  ampi:  l'autodichia  del[la  Camera  dei
deputati] nelle controversie di' lavoro del proprio personale  e'  in
toto invasiva del potere giurisdizionale sicche', non spettando al[la
Camera   dei   deputati]   prevederla   con    le    proprie    norme
subregolamentari,    deve     riespandersi     l'ordinaria     tutela
giurisdizionale». 
    Pertanto, per le  ampie  motivazioni  esposte  dalla  piu'  volte
citata ordinanza n. 26934/2014,  il  presente  giudizio  deve  essere
sospeso in attesa  della  definizione  del  denunciato  conflitto  di
attribuzione.