IL TRIBUNALE DI ROMA (Seconda Sezione Lavoro) in persona del giudice, dott. Antonio Maria Luna a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 22 ottobre 2015, ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 36152 del Ruolo generale affari contenziosi dell'anno 2014, vertente tra: 1) Aiello Ignazio, 2) Amico Maria, 3) Amico Maria, 4) Andreetti Silvia, 5) Angeloni Donatella, 6) Antonelli Silvia, 7) Appolloni Claudia, 8) Aprile Domenico, 9) Arcangeletti Enrico, 10) Argiro' Catia, 11) Baglioni Daniela, 12) Barbanti Emanuele, 13) Barbieri Valerio, 14) Barocchi Silvia, 15) Battista Aldo, 16) Battista Silvia, 17) Bellardini Daniele, 18) Bernabei Enrico, 19) Biasin Claudia, 20) Bigazzi Simonetta Giovanna Elita, 21) Bodini Luca, 22) Bonci Francesca, 23) Borcime Federica, 24) Bottecchia Deborah, 25) Bova Caterina, 26) Brunello Sonia, 27) Bruni Bruna, 28) Bruni Mariateresa, 29) Brutti Simona, 30) Burburan Ilaria, 31) Calzetta Claudio, 32) Campagna Sandra, 33) Cannizzo Marcello, 34) Canzanella Carmine, 35) Carcani Giulio, 36) Casadei Roberta, 37) Casinelli Anna Rita, 38) Castronuovo Maria, 39) Cerrone Stefania, 40) Cesarini Paolo, 41) Colantoni Maria Pia, 42) Colecchia Paolo, 43) Colella Cristina, 44) Comparato Franco, 45) Conti Stefano, 46) Cortese Andrea, 47) Costa Ruibal Maria del Carmen, 48) Curatolo Daniela, 49) D'Ercole Martina, 50) De Girolamo Andrea, 51) De Marco Stefano, 52) De Palma Maurizio, 53) De Paolis Domenica, 54) De Santis Massimo, 55) Del Beato Caterina, 56) Desideri Carlo, 57) Di Bona Andrea, 58) Di Giacomo Carlo, 59) Di Giacomocarlo Nadia, 60) Di Siena Anna, 61) Di Ventura Maria, 62) Fabi Catia, 63) Falcone Silvia, 64) Felici Flavia, 65) Felici Paolo, 66) Filocamo Vittoria, 67) Fiore Daniela, 68) Fiore Lucia, 69) Formisano Osvaldo, 70) Forti Fausto, 71) Fortunato Laura, 72) Gandolfo Anna Maria, 73) Gentili Elisa, 74) Giambanco Piergiuseppe, 75) Giannotti Tiziana, 76) Giglietti Sonia, 77) Ginese Angelo, 78) Ginese Gabriella, 79) Greco Fabio, 80) Guadagno Saverio, 81) Guardalupi Cecilia, 82) Guerra Fabrizio, 83) Gulisano Cinzia, 84) Ionta Carlo, 85) Isola Raffaella, 86) Iuzzarelli Roberto, 87) Lilli Francesca, 88) Liuti Maurizio, 89) Lo Moro Carmelo Andrea, 90) Lo Vasto Simonetta, 91) Logozzo Maurizio, 92) Lupi Emmanuela, 93) Marchetti Araldo, 94) Marchetti Lucia, 95) Marchionni Emilia, 96) Marchiorri Marco, 97) Marciani Maria Cristina, 98) Marconi Bruno, 99) Marcucci Marco, 100) Mauramato Anna Rita, 101) Maurich Marco, 102) Mecca Anna Rita, 103) Melis Claudia, 104) Meneguzzi Adriano, 105) Menichetti Emanuela, 106) Merlino Antonella, 107) Mezzoiuso Giuseppe, 108) Micozzi Andrea, 109) Migliore Girolamo, 110) Mocetti Sara, 111) Modesti Carla, 112) Morgia Valerio, 113) Muscas Marco Antonio, 114) Nardelli Paolo, 115) Narduzzi Cristina, 116) Nati Silvia, 117) Nepi Paolo, 118) Nevadini Andrea, 119) Nicoli Roberta, 120) Orsini Federica, 121) Pace Graziella, 122) Pala Maria Antonietta, 123) Palmucci Caterina, 124) Paniccia Francesca, 125) Pappalardo Daniela, 126) Pellegrino Michele, 127) Perrone Elide, 128) Picozzi Paola, 129) Presti Maria, 130) Proietti Semproni Marco, 131) Pusceddu Massimo, 132) Pusole Laura, 133) Puzzuoli Enrico, 134) Rampin Alessandro, 135) Ramundo Gianluigi, 136) Rava Alberto, 137) Rivieccio Amerigo, 138) Rizzi Paola, 139) Rocchetti Roberto, 140) Romiti Marco, 141) Rosi Massimo, 142) Rucci Simona, 143) Sabatucci Vittoria, 144) Saccotelli Vincenzo, 145) Santececca Tania, 146) Santi Isabella, 147) Santelli Fabio, 148) Santini Rosanna, 149) Santoro Giuliana, 150) Sarra Daniela, 151) Scarpa Patrizia, 152) Sciamanna Antonella, 153) Serafinelli Paola, 154) Solia Alberto, 155) Solla Stefano, 156) Spada Massimo, 157) Spellucci Francesco, 158) Sperduti Massimo, 159) Starnoni Claudia, 160) Suriani Marco, 161) Talucci Monica, 162) Tarditi Fabrizio, 163) Teofili Anna, 164) Tifi Virna, 165) Torretti Marina, 166) Trivelli Roberta, 167) Trogu Simona, 168) Tucci Cristiana, 169) Urso Daniela, 170) Vichi Barbara, 171) Vitelli Francesca Maria, 172) Zanni Paolo, 173) Zeppa Iole, 174) Zito Marco, 175, elettivamente domiciliati in Roma, alla via Cicerone, n. 49, presso lo studio dell'avv. Vincenzo Ribet, che li rappresenta e difende, unitamente agli avv.ti Renato Clarizia e Paolo Teodoli, in virtu' di mandati in calce al ricorso introduttivo, ricorrenti; e Camera dei deputati - in persona del presidente e del segretario generale pro tempore - rappresentata e difesa ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, convenuta. Con ricorso depositato in data 4 novembre 2014, Ignazio Aiello e gli altri 174 litisconsorti sopra indicati, premesso di essere tutti i dipendenti della Camera dei deputati, hanno esposto che la retribuzione dei dipendenti della Camera e' stabilita sulla base di tabelle deliberate dall'Ufficio di Presidenza nel 1980 a seguito di contrattazione tra il Comitato per gli affari del personale della Camera dei deputati e le organizzazioni sindacali, e soggette a periodico aggiornamento previa contrattazione triennale; che dal 1980 tutte le questioni inerenti lo stato giuridico ed il trattamento economico dei dipendenti sono oggetto - ai sensi dell'art. 75 del Regolamento dei servizi e del personale della Camera dei deputati - di uno specifico meccanismo di contrattazione sindacale tra l'Ufficio di Presidenza ed il Comitato per gli affari del personale da una parte e le organizzazioni sindacali dall'altra; che la progressione economica della retribuzione e' regolata dall'art. 69, comma 1, del Regolamento dei servizi e del personale il quale stabilisce che «nell'ambito di ciascun livello funzionale la progressione retributiva corrispondente all'anzianita' maturata e' ordinata in una successione di classi stipendiali di norma biennali»; che il comma 4 dello stesso articolo prevede che «dopo il raggiungimento dell'ultima classe stipendiale si applicano aumenti biennali terminali del 2,50% ciascuno»; che con decreto n. 824/2014 del 6 ottobre 2014 la presidente della Camera ha reso esecutiva la deliberazione dell'Ufficio di Presidenza n. 102/2014 del 30 settembre 2014 con la quale sono state approvate disposizioni volte ad introdurre limiti alla progressione di carriera; che, infatti, l'art. 1, comma 1, del citato provvedimento stabilisce che «le progressioni economiche spettanti ai consiglieri parlamentari sono bloccate al raggiungimento di una retribuzione complessiva pari, al netto dei contributi previdenziali e delle indennita' di funzione al limite retributivo di euro 240.000»; che inoltre il successivo art. 2, comma 1, stabilisce che «le progressioni economiche spettanti ai dipendenti in servizio diversi dai consiglieri parlamentari sono bloccate al raggiungimento della posizione stipendiale corrispondente al 23° anno di carriera e comunque al raggiungimento dei limiti retributivi massimi»; che l'art. 4 del provvedimento regola il contributo straordinario sugli importi eccedenti i limiti retributivi, indicando la misura di tale contributo, crescente sia per le diverse quote di retribuzione eccedenti sia nel tempo; che tale provvedimento ha riformato in peius quanto previsto dall'art. 69 del Regolamento dei servizi e del personale, senza prevedere alcun limite di durata al blocco delle progressioni economiche; che inoltre e' stato assunto unilateralmente dall'Ufficio di Presidenza il 30 settembre 2014 senza alcun accordo con le organizzazioni sindacali; e che essi ricorrenti sono tutti interessati dal provvedimento suddetto avendo gia' raggiunto il 23° anno di carriera o dovendo raggiungerlo in data precedente la maturazione dei requisiti per accedere al trattamento pensionistico. I ricorrenti hanno ritenuto sussistere la competenza del giudice ordinario e, in particolare, del giudice del lavoro, reputando che non osti alla giurisdizione ordinaria la disposizione dell'art. 1 del Regolamento per la tutela giurisdizionale dei dipendenti della Camera secondo cui «I dipendenti della Camera dei deputati, in servizio o in quiescenza, possono ricorrere per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, in base alle norme del presente regolamento, contro gli atti e i provvedimenti, anche di carattere generale, adottati dall'Amministrazione», poiche' tale norma - relativa al giudizio avanti la Commissione giurisdizionale interna ed al Collegio d'appello della Camera - ha carattere regolamentare ed e' quindi priva di forza e valore formale e sostanziale di legge. Osservano inoltre che la detta disposizione conferisce mera possibilita' di adire gli organi interni per la risoluzione delle controversie, lasciando salva quindi la facolta' di proporre azione dinanzi al giudice ordinario. Sostengono poi che tali organi siano a tutti gli effetti di natura politica, essendo composti da deputati in carica, nominati dal presidente della Camera, e non appaiano dotati delle caratteristiche di autonomia ed indipendenza che consentano di definirli quali giudici. I ricorrenti, a supporto della propria tesi in materia di giurisdizione, deducono anche che il Protocollo delle relazioni sindacali della Camera stabilisce, alla lettera B), che «formano oggetto di contrattazione periodica con le organizzazioni sindacali tutte le questioni attinenti allo stato giuridico e al trattamento economico globale del personale», e, alla lettera E), che «l'amministrazione si impegna al rispetto nei confronti delle organizzazioni sindacali del personale della Camera, delle guarentigie dello statuto dei diritti dei lavoratori applicabile al pubblico impiego, in quanto richiamate dalla legge 29 marzo 1983, n. 93»; e che l'art. 102 del Regolamento dei servizi e del personale stabilisce: «per tutto cio' che non e' contemplato nel presente regolamento si fa riferimento, in quanto applicabili, alle norme che regolano lo stato giuridico degli impiegati civili dello Stato». Ad avviso dei ricorrenti, quindi, da tali disposizioni, le quali rinviano a quelle generali per il pubblico impiego, deve desumersi che il rapporto di lavoro del personale della Camera deve essere considerato incluso nella categoria dei rapporti di lavoro pubblico «contrattualizzato» con la conseguenza che, applicandosi l'art. 63 del decreto legislativo n. 165/2001, le controversie inerenti i rapporti di lavoro sono devolute al giudice ordinario del lavoro il quale conosce tutti i vizi di legittimita', senza distinzioni tra norme sostanziali e procedurali. I ricorrenti argomentano poi in merito ai limiti della cosiddetta autodichia, richiamando il contenuto della sentenza n. 120/2014 con cui la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimita' costituzionale sollevata dalla Corte di cassazione con ordinanza del 6 maggio 2013, n. 10400, relativamente a disposizioni regolamentari del Senato, ma avrebbe lasciato intendere che, se si fosse sollevata questione di conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, la pronuncia sarebbe stata diversa; ed ha affermato che davanti a cio' che «[...] esuli dalla capacita' classificatoria del regolamento parlamentare e non sia per intero sussumibile sotto la disciplina di questo (perche' coinvolga beni personali di altri membri delle Camere o beni che comunque appartengano a terzi), deve prevalere la «grande regola» dello Stato di diritto ed il conseguente regime giurisdizionale al quale sono normalmente sottoposti, nel nostro sistema costituzionale, tutti i beni giuridici e tutti i diritti (articoli 24, 112 e 113 della Costituzione)». Richiamando inoltre l'ordinanza del 6 maggio 2013 della Corte di cassazione, i ricorrenti sottolineano i profili di illegittimita' del sistema di autodichia il quale si porrebbe in contrasto con l'art. 3 della Costituzione perche' l'essere dipendente di un ramo del Parlamento non e' elemento significativo ai fini di un trattamento differenziato nella tutela giurisdizionale, con l'art. 102, secondo comma, Cost. perche' le cause di lavoro dei dipendenti delle Camere sarebbero sottoposte ad un giudice speciale, nonche' con l'art. 111 Cost. con riferimento al principio del giusto processo poiche' il processo si svolgerebbe dinanzi ad una delle parti, cioe' lo stesso datore di lavoro, e non dinanzi ad un giudice terzo ed imparziale. Nel merito, i ricorrenti deducono che il rapporto di lavoro dei dipendenti della Camera e le relative retribuzioni hanno natura e carattere contrattuale con la conseguenza che non possono essere oggetto di modificazioni unilaterali da parte di uno dei contraenti; che l'art. 69, comma 1, del Regolamento dei servizi e del personale prevede una progressione retributiva determinata dalla sola anzianita' maturata con conseguente obbligo per il datore di lavoro di erogare, in relazione all'anzianita', una data retribuzione; che essi godono quindi non soltanto di una mera aspettativa di retribuzione, ma di un vero e proprio diritto di credito certo la cui esecuzione e' differita nel tempo al solo maturare dell'anzianita' e della connessa classe stipendiale; che, anche nell'ipotesi in cui la progressione economica costituisse mera aspettativa di carriera, come ritenuto dalla Corte costituzionale, un intervento legislativo diretto a regolare situazioni pregresse e' legittimo a condizione che vengano rispettati i canoni costituzionali di ragionevolezza ed i principi generali di tutela del legittimo affidamento e di certezza delle situazioni giuridiche; che, in particolare, con sentenza n. 310 del 2013, la Corte costituzionale ha ribadito, che per escludere l'irragionevolezza di misure, come quella per cui e' causa, occorre che le stesse abbiano carattere eccezionale, transitorio, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato, nonche' temporalmente limitato dei sacrifici richiesti e che siano finalizzate al raggiungimento di esigenze, immediate e non future, di contenimento della spesa pubblica; che tali caratteri sono assenti nel provvedimento contestato del 30 settembre 2014; che anche nell'ipotesi in cui non si ravvisasse un diritto soggettivo perfetto ma una mera aspettativa, la strutturazione di una carriera configurata all'atto dell'assunzione come connessa al solo scorrere del tempo crea nei dipendenti un legittimo affidamento, costituzionalmente garantito, nella progressione di carriera cosi' da consolidare il principio del divieto di reformatio in peius delle retribuzioni; che anche la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo ha posto in evidenza che il diritto di credito del lavoratore alla retribuzione convenuta, ossia un credito futuro per il quale si puo' vantare una aspettativa legittima di concretizzazione, costituisce un «bene da tutelare ai sensi dell'art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU»; che la delibera dell'Ufficio di Presidenza del 30 settembre 2014 ed il conseguente decreto del 6 ottobre 2014 del Presidente sono illegittimi poiche' contrastanti con l'art. 75 del Regolamento dei servizi e del personale secondo cui gli aggiornamenti dello stato giuridico e del trattamento economico devono essere determinati attraverso lo strumento contrattuale, come confermato dal Protocollo delle relazioni sindacali, sicche' e' da escludere un intervento unilaterale di una delle parti del rapporto contrattuale; che, pure nell'ipotesi in cui i detti atti siano considerati provvedimenti amministrativi, gli stessi sono nulli per contrasto con l'art. 75 citato e con il citato Protocollo; che inoltre gli atti in questione sono affetti da vizi di costituzionalita' che comportano l'annullamento e/o la disapplicazione: 1) la Corte costituzionale ha piu' volte affermato l'illegittimita' di ogni riduzione del trattamento economico del pubblico impiego in assenza di una ridefinizione «secondo ragionevolezza» dei contenuti giuridici del rapporto di lavoro; 2) la regolamentazione adottata dalla Camera prevede che la decurtazione delle retribuzioni avvenga attraverso l'istituzione di un prelievo forzoso denominato «contributo di solidarieta'» o attraverso il blocco della progressione economica, misure che, nella sentenza n. 223/2012 il Giudice delle leggi ha, in caso analogo, ritenuto costituire imposizioni di carattere tributario, emergente dalla doverosita' della prestazione e dall'assenza di una modifica al rapporto sinallagmatico idonea a giustificare la decurtazione; 3) in base all'art. 23 Cost., un intervento definitivo di reformatio in peius sarebbe possibile solo se previsto dalla legge e non quindi da un atto assunto dall'Ufficio di Presidenza; 4) nell'introdurre limiti retributivi massimi il provvedimento in questione ha previsto prelievi differenziati privi di giustificazione a parita' di reddito; 5) l'applicazione dei limiti retributivi e di progressione di carriera rappresenta un trattamento discriminatorio nei confronti dei dipendenti della Camera che sono gli unici a subire tale imposizione tra tutti i dipendenti pubblici contrattualizzati e non contrattualizzati; 6) la decisione assunta dall'Ufficio di Presidenza contrasta con il principio di proporzionalita' della retribuzione sancito dall'art. 36 Cost.; 7) la violazione della possibilita' di negoziare, anche solo in ordine ad incrementi retributivi, determina una anomala interruzione delle disposizioni vigenti, cioe' il Regolamento dei servizi e del personale ed il Protocollo delle relazioni sindacali e quindi del valore dell'autonomia negoziale riservata alle parti nell'ambito della contrattazione; 8) la regolamentazione adottata e' estremamente irragionevole siccome legata al diverso trattamento del personale, a seconda che percepisca una retribuzione inferiore o superiore ai «tetti» e, in quest'ultimo caso, a seconda di quanto se ne distanzi; 9) il provvedimento contestato solleva ulteriori dubbi per violazione dei principi di uguaglianza, ragionevolezza legislativa e solidarieta' sociale poiche', a fronte del dettato normativo di cui all'art. 13 del decreto-legge n. 66/2014, che fissa in € 240.000,00 l'unico limite al trattamento economico del personale pubblico, ha apposto ulteriori limiti per le retribuzioni dei soli dipendenti della Camera. I ricorrenti hanno percio' chiesto: a) accertare l'illiceita' e/o l'illegittimita' del comportamento dell'Amministrazione; b) accertare la nullita' e/o illegittimita' della delibera n. 102/2014 dell'Ufficio di presidenza della Camera dei deputati e del decreto n. 824/2014 della presidente della Camera dei deputati; c) disapplicare la delibera n. 102/2014 dell'Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati ed il decreto n. 824/2014 della Presidente della Camera dei deputati; d) condannare la Camera dei deputati all'esatto adempimento delle obbligazioni contrattuali assunte nei loro confronti, ai sensi dell'art. 1372 cod. civ.; e) adottare ogni altro provvedimento che si renda necessario ai sensi dell'art. 63, comma 2, del decreto legislativo n. 165/2001 per assicurare il pieno rispetto delle loro posizioni soggettive. La Camera dei deputati, costituitasi con memoria depositata l'8 maggio 2015 - premesso che i provvedimenti oggetto di contestazione da parte dei ricorrenti sono stati adottati in un contesto di crisi economica e sociale al fine di contenere i costi di funzionamento, in linea con provvedimenti legislativi emanati nel 2011 e nel 2014, dopo aver comunque condotto trattative con le organizzazioni sindacali - ha preliminarmente eccepito il difetto di giurisdizione del giudice ordinario stante il regime di autodichia vigente per le controversie insorte tra la Camera dei deputati ed i propri dipendenti, senza che possa ipotizzarsi violazione di principi fondamentali in materia poiche' gli organi previsti dai regolamenti parlamentari godono di piene garanzie di indipendenza e terzieta', come piu' volte riconosciuto dalla giurisprudenza, anche costituzionale, la quale ha escluso possibili contrasti tra la cosiddetta giurisdizione domestica ed i principi fondamentali del nostro ordinamento. Nel merito, l'Organo convenuto ha dedotto che, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, i rapporti di lavoro in questione non hanno carattere contrattuale ne' ha natura negoziale la delibera impugnata giacche' la fonte normativa costituita dal regolamento interno riserva all'Ufficio di Presidenza il potere di disciplinare, attraverso propri atti normativi, lo stato giuridico ed economico dei dipendenti, come specificato nel Regolamento dei servizi e del personale, sicche' il personale della Camera deve essere assimilato, pur con le opportune differenziazioni, ai dipendenti pubblici non contrattualizzati di cui all'art. 3 decreto legislativo n. 165 del 2001 in quanto, pur essendo previste trattative con le organizzazioni sindacali dei dipendenti, le proposte conclusive sono sottoposte alla deliberazione dell'Ufficio di Presidenza per cui, come avviene nella disciplina di diritto comune per i lavoratori non contrattualizzati, e' solo l'atto normativo di diritto pubblico, cioe' la deliberazione dell'Ufficio di Presidenza, che produce gli effetti modificativi del regime giuridico ed economico dei dipendenti. L'Organo convenuto ha poi evidenziato che, pertanto, l'Ufficio di Presidenza ha il potere anche di modificare unilateralmente il trattamento dei dipendenti con atti non di carattere negoziale ma normativo, quale appunto la delibera n. 102 del 2014 oggetto di contestazione. Quanto agli ipotizzati vizi di costituzionalita' del provvedimento, gli stessi - ad avviso del convenuto - sono inammissibili per difetto di interesse concreto ed attuale quanto ai ricorrenti la cui retribuzione e' inferiore al «tetto», e comunque sono insussistenti, giacche' le misure limitative dei livelli massimi delle retribuzioni non sono affatto irragionevoli ma si inseriscono anzi nelle determinazioni politiche assunte negli ultimi anni nell'ottica di assicurare la sostenibilita' delle finanze pubbliche, senza che neppure possa ipotizzarsi violazione del principio del legittimo affidamento in relazione alla tutela della proprieta' di cui all'art. 1 Prot. n. 1 CEDU giacche' tale disposizione garantisce future entrate a condizione che si tratti di somme che siano gia' state guadagnate, e non tutela invece legittime aspettative di guadagni futuri. La Corte di cassazione - Sezioni Unite, con ordinanza del 19 dicembre 2014, n. 26934 - resa nel medesimo procedimento da cui e' scaturito incidente di costituzionalita' definito con declaratoria di inammissibilita' pronunciata dalla Corte costituzionale (sent. n. 120/2014) - ha sollevato conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato chiedendo dichiararsi che non spettava al Senato della Repubblica deliberare gli articoli 72-84 del titolo 2° (Contenzioso) del Testo unico delle norme regolamentari dell'Amministrazione riguardanti il personale del Senato della Repubblica: «a) in via principale nella parte in cui - violando l'art 3, comma 1, art. 24, comma 1, art. 102, comma 2, quest'ultimo in combinato disposto con la 6ª disposizione transitoria, art. 108 Cost., comma 2, e art. 111 Cost., commi 1 e 2 precludono l'accesso dei dipendenti del senato alla tutela giurisdizionale in riferimento alle controversie di lavoro insorte con l'Amministrazione del Senato; b) in via subordinata nella parte in cui - violando l'art. 111 Cost., comma 7, e art. 3 Cost., comma 1 - non consentono, contro le decisioni pronunciate dagli organi giurisdizionali da tali disposizioni previste, il ricorso in Cassazione per violazione di legge ai sensi dell'art. 111 Cost., comma 7». Le ampie e condivisibili argomentazioni esposte dalle Sezioni Unite a sostegno del citato provvedimento interlocutorio appaiono sostanzialmente sovrapponibili alla fattispecie ora in esame. I ricorrenti hanno adito questo Giudice da un lato ritenendo che lo stesso sia competente ai sensi dell'art. 409, 5° comma, c.p.c. giacche' l'art. l del Regolamento per la tutela giurisdizionale dei dipendenti della Camera prevedrebbe una mera facolta' di adire gli organi giurisdizionali interni per la tutela di diritti ed interessi legittimi dei lavoratori e, dall'altro, che, sulla scorta degli argomenti esposti dalla Corte di cassazione nell'ordinanza del 6 maggio 2013, n. 10400, e dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 120/2014, sussiste assoluta incompetenza della Camera ad emanare provvedimenti che abbiano contenuto giurisdizionale nella materia dei rapporti di lavoro con i propri dipendenti. Per contro, la Camera dei deputati ha sollevato eccezione di difetto di giurisdizione affermando che i propri organi giurisdizionali hanno competenza esclusiva in relazione alle controversie insorte con i dipendenti ed ha richiamato in proposito l'orientamento della Corte costituzionale (sent. n. 154 del 1985) e della Corte di cassazione (SS.UU. n. 317/1999 e n. 11019/2004) secondo cui i regolamenti parlamentari, su cui si fonda l'autodichia, sono fonti normative di rango primario e percio' sostanzialmente parificate alle leggi ordinarie, in quanto dispiegano la loro efficacia nella sfera di azione interna alle Assemblee legislative, che e' riservata alla loro autonomia per ragioni di garanzia dell'indipendenza delle Assemblee stesse. Non sembra possa dubitarsi del fatto che, nell'attuale assetto ordinamentale, come per il Senato della Repubblica, anche per la Camera dei deputati gli organi giurisdizionali interni hanno competenza esclusiva sulle controversie affidate alla loro cognizione, labile essendo l'argomento letterale in senso contrario addotto dai ricorrenti. Invero, la formulazione dell'art. 1 del Regolamento per la tutela giurisdizionale dei dipendenti (modificato con decreto del Presidente della Camera dei deputati n. 781 del 15 ottobre 2009, in Gazzetta Ufficiale 19 ottobre 2009, n. 243, in cui e' riportato il testo integrale comprensivo delle modifiche) indica soltanto che ciascun dipendente ha facolta' di adire l'organo giurisdizionale ove ritenga lesi i propri diritti o interessi legittimi, non diversamente da come l'art. 24, 1° comma, Cost. riconosce che «Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi». Nell'interpretazione ormai da lungo consolidata, gli organi di giustizia costituiti all'interno delle Camere hanno non solo natura giurisdizionale ma anche competenza esclusiva nelle materie a loro riservate (v. Corte cost. n. 154 del 1985 e, da ultimo, la sent. n. 120/2014 che riconduce l'autodichia, intesa come «potere di giudicare in via esclusiva e definitiva i ricorsi avverso gli atti e i provvedimenti adottati dall'amministrazione di quel ramo del Parlamento nei confronti degli stessi dipendenti, con conseguente esclusione del sindacato di qualsiasi giudice esterno in ordine alle controversie che attengono allo stato ed alla carriera giuridica ed economica dei dipendenti», ad una «antica tradizione interpretativa»; nonche' SS.UU. 27 maggio 1999, n. 317). Nel presente giudizio, quindi, non appare possibile, allo stato, procedere all'esame della controversia nel merito giacche' la competenza giurisdizionale sulla stessa spetta, in via esclusiva, agli organi interni giurisdizionali della Camera dei deputati. La autodichia della Camera trova il suo fondamento nell'art. 12 del Regolamento (doc. 1 produzione convenuta), il cui comma 3 recita: «L'Ufficio di Presidenza adotta i regolamenti e le altre norme concernenti: [...] d) lo stato giuridico, il trattamento economico e di quiescenza e la disciplina dei dipendenti della Camera, ivi compresi i doveri relativi al segreto d'ufficio; [...] i ricorsi nella materia di cui alla lettera d), nonche' i ricorsi e qualsiasi impugnativa, anche presentata da soggetti estranei alla Camera, avverso gli altri atti di amministrazione della Camera medesima». In forza di tale disposizione di rango primario (trovando essa diretto fondamento nella disposizione di cui all'art. 64, 1° comma, Cost.), vengono appunto emanati regolamenti sub-primari, tra cui quello sopra citato sulla tutela giurisdizionale. Competente a decidere in primo grado sui ricorsi presentati dai dipendenti della Camera e' quindi la Commissione giurisdizionale per il personale. Essa, nominata con decreto del Presidente della Camera, e' composta di sei membri scelti, mediante sorteggio, da un elenco di deputati in carica che siano magistrati, anche a riposo, delle giurisdizioni ordinaria e amministrativa, professori universitari in materie giuridiche, avvocati, avvocati dello Stato o procuratori presso l'Avvocatura dello Stato, anche a riposo. Il sorteggio e' effettuato sulla base di liste di venti deputati designati rispettivamente dal Presidente della Camera, dal Segretario generale nonche', d'intesa fra loro, dalle Organizzazioni sindacali ovvero, in mancanza di accordo, indicati in ragione di due da ciascuna delle stesse Organizzazioni sindacali. I componenti dell'Ufficio di Presidenza non possono far parte della Commissione giurisdizionale. L'incarico di componente della Commissione giurisdizionale e' incompatibile con quello di membro del Governo e di componente del Consiglio di giurisdizione di cui all'art. 2 del Regolamento per la tutela giurisdizionale relativa agli atti di amministrazione non concernenti i dipendenti. Il Presidente della Commissione e' designato dal Presidente della Camera tra i componenti della stessa (v. art. 3 del Regolamento citato). Il procedimento e la decisione sono regolati rispettivamente dagli artt. 4 e 5 del Regolamento. Le sentenze della Commissione giurisdizionale possono essere impugnate al Collegio d'appello che giudica in via definitiva la controversia. Tale organo di secondo grado e' nominato dal Presidente della Camera ed e' composto da cinque deputati in possesso dei medesimi requisiti professionali dei membri dell'organo di primo grado. I componenti dell'Ufficio di Presidenza non possono far parte del Collegio d'appello. L'incarico di componente del Collegio d'appello e' incompatibile con quelli di membro del Governo, della Commissione giurisdizionale per il personale e del Consiglio di giurisdizione (art. 6 del Regolamento). Come detto, tale complesso di disposizioni viene a costituire un sistema del tutto autonomo ed interno all'Organo costituzionale per la risoluzione delle controversie insorte con il personale dipendente tanto da non consentire non solo il ricorso, quanto meno in alternativa, ad altri organi della giurisdizione, ma neppure il controllo generale di legittimita' che la Costituzione affida alla Corte di cassazione (art. 111, 7° comma Cost.), come affermato dalla giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. civ. Sez. Unite, 19 novembre 2002, n. 16267). Viene qui richiamato complessivamente il contenuto dell'ordinanza delle SS.UU. del 19 dicembre 2014, n. 26934, specie nella parte in cui ripercorre l'evoluzione giurisprudenziale che ha condotto a ravvisare, anche laddove non vi siano norme sindacabili attraverso il giudizio incidentale di legittimita', la possibilita' di sollevare conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato nel caso in cui tali norme, facenti parte del complessivo sistema dell'ordinamento giuridico, appaiano fonte di atti lesivi di diritti costituzionalmente inviolabili e dovendo comunque ritenersi sempre possibile un sindacato sul fondamento costituzionale stesso di un potere decisorio che limiti quello conferito dalla Costituzione ad altre autorita'. La disciplina della competenza giurisdizionale della Camera dei deputati appare presentare i medesimi profili di illegittimita' che hanno giustificato la proposizione del conflitto di attribuzione, da parte della Corte di cassazione, nei confronti del Senato della Repubblica. Le stesse Sezioni Unite, peraltro, hanno sollevato conflitto di attribuzioni anche con riferimento al sistema di autodichia proprio della Presidenza della Repubblica (v. Cass. civ. Sez. Unite, Ord., 19 gennaio 2015, n. 740, con cui, oltre ad essere esaminati gli aspetti caratteristici della tutela giurisdizionale dinanzi agli organi interni alla Presidenza, vengono esposte considerazioni di carattere generale sulla autodichia che, ove non fondata su disposizioni di rango costituzionale, appare di per se' non agevolmente compatibile con principi essenziali dell'ordinamento). Nella specie, invero, ed analogamente a quanto sostenuto dalle Sezioni Unite con riferimento alla autodichia del Senato della Repubblica, anche l'autodichia della Camera dei deputati appare in contrasto con il principio di eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.), di cui e' espressione il diritto di ognuno di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi (art. 24 Cost., comma 1). «L'eguaglianza davanti alla legge, come canone generale e principio fondamentale, si specifica come eguaglianza in particolare nell'accesso alla tutela giurisdizionale, quale diritto inviolabile. E' un principio fondamentale che si salda ad un diritto espressamente riconosciuto come inviolabile e che genera una tutela forte, appartenente al nucleo essenziale ed irrinunciabile del patto sociale su cui si fonda l'ordinamento costituzionale fin da essere attratto all'area dei cd controlimiti, ossia dei principi fondamentali e dei diritti inviolabili della persona che costituiscono gli elementi identificativi essenziali ed irrinunciabili dell'ordinamento costituzionale. Questa garanzia viene in sofferenza - ad avviso di questa Corte - nel momento in cui una categoria di soggetti e' esclusa dalla tutela giurisdizionale in ragione di un elemento - l'essere dipendenti del Senato - non significativo, ne' giustificativo sul piano costituzionale, ai fini del loro trattamento differenziato. Nella stessa cit. sent. n. 120 del 2014 - in cui veniva in rilevo proprio questo trattamento differenziato, denunciato da queste Sezioni Unite con la menzionata ordinanza del 6 maggio 2013 - la stessa Corte costituzionale ha posto in evidenza che il diritto di accesso alla giustizia (art. 24 Cost.) costituisce un diritto fondamentale; affermazione confermata ancor piu' recentemente dalla cit. sent. n. 238 del 2014 che ha ribadito che «fra i principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale vi e' il diritto di agire e di resistere in giudizio a difesa dei propri diritti riconosciuto dall'art. 24 Cost., in breve il diritto al giudice», aggiungendo che il diritto al giudice ed a una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti inviolabili e' sicuramente tra i grandi principi di civilta' giuridica in ogni sistema democratico del nostro tempo. Cfr. anche sent. n. 98 del 1965 che ha sottolineato che il diritto alla tutela giurisdizionale e' tra quelli inviolabili dell'uomo, che la Costituzione garantisce all'art. 2, come si arguisce anche dalla considerazione che se ne e' fatta nell'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. In generale la Corte ha ascritto il diritto alla tutela giurisdizionale tra i principi supremi del nostro ordinamento costituzionale, in cui e' intimamente connesso con lo stesso principio di democrazia l'assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice e un giudizio (sent. n. 18 del 1982 e n. 82 del 1996). La Corte ha anche osservato che al riconoscimento della titolarita' di diritti non puo' non accompagnarsi il riconoscimento del potere di farli valere innanzi ad un giudice in un procedimento di natura giurisdizionale: pertanto l'azione in giudizio per la difesa dei propri diritti ... e' essa stessa il contenuto di un diritto, protetto dagli artt. 24 e 113 Cost. e da annoverarsi tra quelli inviolabili e caratterizzanti lo stato democratico di diritto (sent. n. 26 del 1999, n. 120 del 2014, n. 386 del 2004 e n. 29 del 2003). Cfr. anche sent. n. 212 del 1997 che ha sottolineato che nell'ordinamento, secondo il principio di assolutezza, inviolabilita' e universalita' del diritto alla tutela giurisdizionale (artt. 24 e 113 Cost.), non v 'e' posizione giuridica tutelata di diritto sostanziale, senza che vi sia un giudice davanti al quale essa possa essere fatta valere. Ne' appare concretamente ipotizzabile che l'autonomia del Senato, che certamente ha una posizione guarentigiata di alto profilo in ragione della centralita' e della primazia del Parlamento, possa bilanciare, fino a comprimerlo del tutto, il diritto alla tutela giurisdizionale del personale dipendente nella misura in cui puo' ragionevolmente escludersi che alcun rischio tale autonomia guarentigiata corra a causa di un'iniziativa giudiziaria di un suo dipendente, qual e' l'attuale ricorrente che, assegnatario di mansioni impiegatizie (con l'iniziale qualifica di coadiutore), si e' doluto in sostanza dell'inquadramento ritenuto non corrispondente alle mansioni e di un asserito demansionamento [nella fattispecie sottoposta all'esame di questo Giudice si tratta di dipendenti che si dolgono della determinazione della misura delle loro retribuzioni]. 13. Puo' poi denunciarsi anche la violazione dell'art. 102 Cost., comma 2, che esclude che possano essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali; parametro questo che va coniugato con la 6ª disposizione transitoria che prescrive che entro cinque anni dall'entrata in vigore della Costituzione si procede alla revisione degli organi speciali di giurisdizione all'epoca esistenti, salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti (nonche' dei tribunali militari per i quali pero' e' prescritto il «riordinamento» con legge). La Commissione contenziosa ed il Consiglio di garanzia, quali giudici delle controversie dei dipendenti del Senato, si pongono, rispetto alla giurisdizione ordinaria, come giudici speciali, istituiti dopo l'entrata in vigore della Costituzione, senza che in essa ci sia una salvezza, cosi come invece espressamente previsto per il Consiglio di Stato e la Corte dei conti; salvezza che deroga a tale generale divieto proprio per essere essa di rango costituzionale. [Anche gli organi giurisdizionali della Camera dei deputati appaiono come giudici speciali istituiti dopo l'entrata in vigore della Costituzione]. Ed ove anche si ravvisasse una continuita' con analogo apparato di autodichia nel sistema ordinamentale prerepubblicano, non appare soddisfatta l'ulteriore prescrizione della 6ª disposizione transitoria della Costituzione che prescrive la revisione degli organi speciali di giurisdizione esistenti al momento di entrata in vigore della Costituzione; prescrizione che invece - puo' notarsi incidentalmente - si e' ritenuto essere soddisfatta con riferimento al procedimento attivato con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, di cui parimenti la giurisprudenza di questa Corte, quella del Consiglio di Stato e piu' recentemente anche quella della Corte costituzionale, hanno predicato la natura giurisdizionale. Il difetto di revisione degli organi di autodichia del Senato si rivelerebbe anche nella parimenti ipotizzata violazione dell'art. 111 Cost., recentemente novellato, quanto al principio del giusto processo (comma 1) e quanto alla necessita' che il contraddittorio si svolga davanti ad un giudice terzo e imparziale (comma 2), non potendo ritenersi rispettoso di tali canoni un processo che si svolge dinanzi ad un giudice incardinato in una delle parti (in considerazione in particolare della circostanza che le decisioni della Commissione contenziosa, ratificate col visto del presidente del Senato, possono riguardare ricorsi contro decreti del presidente del Senato) [gli organi giurisdizionali della Camera sono parimenti incardinati in una delle parti: i membri della Commissione giurisdizionale sono nominati con decreto del presidente della Camera il quale designa anche il presidente della Commissione, laddove, come nella specie, puo' essere impugnato un decreto del presidente medesimo]. Neppure, per la stessa ragione, sarebbe soddisfatto il canone della «indipendenza» dei giudici speciali prescritto dall'art. 108 Cost., comma 2 [i membri di entrambi gli organi, in quanto deputati, sono soggetti alla potesta' disciplinare del presidente della Camera per comportamenti tenuti in aula o alla potesta' disciplinare dell'Ufficio di presidenza su proposta del presidente in casi di maggiore gravita': v. art. 60 del Regolamento della Camera]. Del resto, gia' in epoca ormai risalente, la Corte costituzionale, proprio in riferimento all'autodichia del Senato (sent. n. 154 del 1985, cit.) - pur dichiarando inammissibile la questione incidentale di legittimita' costituzionale sollevata, anche allora, da queste Sezioni Unite - non ha mancato di rilevare che «indipendenza ed imparzialita' dell'organo che decide, garanzia di difesa, tempo ragionevole, in quanto coessenziali al concetto stesso di una effettiva tutela, sono indefettibili nella definizione di qualsiasi controversia». Per altro verso il carattere giurisdizionale degli organi di autodichia emerge anche dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che, nella sentenza 28 aprile 2009, Savino ed altri c. Italia, ha affermato [...] che, ai sensi dell'art. 6, comma 1, della Convenzione, e' giudice qualsiasi autorita' che dirima una controversia facendo applicazione di norme di diritto. E, con riferimento al parallelo sistema di autodichia della Camera, ha statuito, quanto ai motivi di ricorso, l'assenza di indipendenza e di imparzialita' degli organi giurisdizionali della Camera, ed in particolare dell'organo di appello, ritenendo che la sua composizione determinasse una inammissibile commistione, in capo agli stessi soggetti, tra l'esercizio di funzioni amministrative e l'esercizio di funzioni giurisdizionali: i componenti dell'Ufficio di presidenza, cui spetta l'adozione dei provvedimenti concernenti il personale. In sostanza quella Corte ha ritenuto che mancasse, nella specie, il carattere di terzieta' dell'organo giudicante, attributo connaturale all'esercizio della funzione giurisdizionale. Proprio a seguito di tale pronuncia gli organi di autodichia della Camera dei deputati sono stati «revisionati» tanto che recentemente la Commissione giurisdizionale per il personale della Camera si e' ritenuta legittimata, quale «giudice» rimettente (Legge n. 87 del 1953, ex art. 23), a sollevare questione incidentale di costituzionalita' in un giudizio in sede di autodichia relativamente a controversie promosse dal personale dipendente» (S.U., ord. n. 26934/2014). Sulla base delle sopra riportate argomentazioni, non apparendo possibile una interpretazione delle disposizioni sub-regolamentari della Camera tali da escludere ogni dubbio di contrasto con principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale, posto che, per quanto detto, il sistema della giurisdizione dell'Organo costituzionale ora convenuto, per unanime interpretazione, esclude ogni possibilita' di ricorso all'autorita' giudiziaria (ordinaria o amministrativa), appare necessario sollevare conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati ai sensi dell'art. 134 Cost. posto che solo la Corte costituzionale puo' valutare se la disciplina sulle controversie dei dipendenti della Camera sia effettivamente in contrasto con i principi costituzionali sopra indicati (articoli 3, 24, 102 in combinato disposto con la VI disposizione transitoria, 108, 2° comma, 111, 1° e 2° comma Cost.). La sussistenza del potere esclusivo degli organi giusdicenti della Camera comporta - in presenza dei detti dubbi di legittimita' costituzionale ed apparendo contrasto con il diritto essenziale dei lavoratori dipendenti dell'Organo di ottenere tutela giurisdizionale delle proprie posizioni giuridiche soggettive - compressione o impedimento del potere giurisdizionale del giudice ordinario adito. E' evidente la sussistenza dell'interesse a ricorrere al giudice delle leggi dovendo questo Tribunale dare una risposta di giustizia agli attuali ricorrenti ed essendo cio' precluso dall'esistenza delle norme del Regolamento per la tutela giurisdizionale dei dipendenti, secondo il testo coordinato con le modifiche approvate dall'Ufficio di presidenza con deliberazione n. 77 del 6 ottobre 2009, resa esecutiva con decreto del presidente della Camera dei deputati n. 781 del 15 ottobre 2009, ed in particolare dalle disposizioni di cui agli articoli 1-6-bis che disciplinano la costituzione degli organi di primo e secondo grado ed il procedimento. Quanto al requisito soggettivo, la natura di potere dello Stato di ogni giudice dell'ordinamento giudiziario e' stato piu' volte riconosciuto (v., ex multis, Corte cost. ordinanza, 17 dicembre 2014, n. 286). Analogamente a quanto prospettato dalla Corte di cassazione nella citata ordinanza n. 26934/2014, pertanto «il petitum del presente atto di promovimento del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, richiesto come contenuto del «ricorso» ex art. 24 Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale puo' formularsi in termini piu' ampi: l'autodichia del[la Camera dei deputati] nelle controversie di' lavoro del proprio personale e' in toto invasiva del potere giurisdizionale sicche', non spettando al[la Camera dei deputati] prevederla con le proprie norme subregolamentari, deve riespandersi l'ordinaria tutela giurisdizionale». Pertanto, per le ampie motivazioni esposte dalla piu' volte citata ordinanza n. 26934/2014, il presente giudizio deve essere sospeso in attesa della definizione del denunciato conflitto di attribuzione.